Storia delle Pandemie causate da Coronavirus respiratori nel del XX e XXI secolo.

Storia delle Pandemie causate da Coronavirus respiratori nel del XX e XXI secolo.

Prof. Tommaso Todisco Primario di Pneumologia.

Sono almeno 7 i Coronavirus respiratori umani conosciuti ad oggi, comuni in tutto il mondo, alcuni identificati diversi anni fa (i primi a metà degli anni Sessanta) e alcuni identificati nel nuovo millennio

1 – 229E (coronavirus alpha)

2 – NL63 (coronavirus alpha)

3 – OC43 (coronavirus beta)

4 – HKU1 (coronavirus beta)

5 – MERS-CoV (il coronavirus beta che causa la Middle East respiratory syndrome)

6 – SARS-CoV (il coronavirus beta che causa la Severe acute respiratory syndrome)

7 – SARS-CoV-2 (il coronavirus che che causa la COVID-19)

 

 

I coronavirus (CoV) sono un’ampia famiglia di virus respiratori che possono causare malattie da lievi a moderate, dal comune raffreddore a sindromi respiratorie come la MERS (sindrome respiratoria mediorientale, Middle East respiratory syndrome) e la SARS (sindrome respiratoria acuta grave, Severe acute respiratory syndrome). Sono chiamati così per le punte a forma di corona che sono presenti sulla loro superficie

 

Un team di ricercatori guidato da Camille Ehre, professoressa del Marsico Lung Institute della University of North Carolina, ha realizzato delle incredibili immagini che riprendono i virus SARS-CoV-2 che brulicano sopra le cellule umane delle vie aeree

infette.

Queste foto ravvicinate sono state realizzate grazie ad un particolare microscopio elettronico a scansione che usa un fascio di elettroni focalizzato per realizzare immagini nitide di questo tipo

Crocerossine durante la pandemia “Spagnola”.

Storia delle Pandemie del Ventesimo Secolo

Nel ventesimo secolo si sono verificate tre pandemie influenzali: nel 1918, 1957, e 1968, che sono identificate comunemente in base alla presunta area di origine: Spagnola, Asiatica e Hong Kong.

Si sa che sono state causate da tre sottotipi antigenici differenti del virus dell’influenza A, rispettivamente: H1N1, H2N2, e H3N2.

Sebbene non classificate come pandemie, tre importanti epidemie si verificarono anche nel 1947, nel 1977 e nel 1976.

Le epidemie maggiori non mostrano una periodicità o caratteri prevedibili e differiscono l’una dall’altra. Esistono prove scientifiche a favore dell’ipotesi che le vere pandemie, con modifiche dell’emagglutinina, originino da riassortimento genetico con virus dell’influenza A degli animali.

1918: la Spagnola (Virus influenzale H1N1)

Periodo: gennaio 1918 -; dicembre 1920

Numero di casi: 500 000 000

Numero di morti: 50 000 000

Patologia: Influenzavirus A sottotipo H1N1

Nell’estate del 1997 lo scienziato Johan Hultin si recò a Brevig Mission, una cittadina dell’Alaska con poche centinaia di abitanti. Hultin stava cercando dei corpi sepolti, e il terreno ghiacciato di quella regione era il luogo perfetto dove trovarli. Scavando nel permafrost, portò alla luce una donna  morta quasi 80 anni prima, in eccellente stato di conservazione. I biologi del St. Bartholomew’s Hospital di Londra identificarono il virus nel cervello e nel tessuto polmonare di vittime della pandemia del 1918. Con il permesso delle autorità locali, prima di rinterrare la donna, lo scienziato prese un campione da uno dei suoi polmoni. Intendeva usarlo per decodificare la sequenza genetica del virus che l’aveva uccisa, e con lei il 90 per cento della popolazione della cittadina. Brevig Mission fu solo una delle tante località colpite da una tragedia di proporzioni globali, una delle peggiori che siano mai capitate all’umanità: la pandemia influenzale del 1918-19.

Conosciuta – impropriamente – con il nome di influenza Spagnola, o semplicemente Spagnola, questa epidemia si diffuse con velocità sorprendente in tutto il mondo, mettendo in ginocchio pure l’India e arrivando fino all’Australia e alle remote isole del Pacifico. In soli 18 mesi l’influenza contagiò almeno un terzo della popolazione mondiale. Le stime sul numero dei morti variano enormemente, da 20 a 50 o addirittura 100 milioni di vittime.

Se la cifra più alta fosse attendibile, la pandemia del 1918 avrebbe ucciso più persone di quante ne abbiano uccise, insieme, le due guerre mondiali.

Le influenze sono causate da diversi tipi di virus strettamente imparentati, ma una forma in particolare (il tipo A) è legata a epidemie letali. La pandemia del 1918-19 fu causata da un virus influenzale di questo tipo, chiamato H1N1. Nonostante sia diventato famosa con il nome di influenza spagnola, i primi casi furono registrati negli Stati Uniti, durante l’ultimo anno della Prima guerra mondiale. Nel marzo del 1918 gli Stati Uniti erano in guerra con la Germania e gli imperi centrali da undici mesi. Mentre l’intera nazione si mobilitava per il conflitto, le postazioni fortificate sul suolo statunitense conobbero una massiccia espansione.

Pronto soccorso per curare i malati colpiti dalla pandemia del 1918 al campo di addestramento statunitense di Camp Funston, nel Kansas, dove si registrarono i primi casi ufficiali di Spagnola ( Foto: SPL / Age Fotostock

Una di queste era Fort Riley, nel Kansas, dove, per accogliere parte dei 50mila uomini che sarebbero stati arruolati nell’esercito, fu costruito un nuovo campo di addestramento: Camp Funston. Fu lì che, il 4 marzo, un soldato si presentò febbricitante in infermeria. Nel giro di poche ore più di un centinaio di suoi commilitoni mostrarono i sintomi della stessa patologia, e altri ancora si sarebbero ammalati nelle settimane seguenti. Nel mese di aprile le truppe statunitensi arrivarono in Europa, portando con sé il virus. Era la prima ondata della pandemia.

Una velocità letale

L’influenza uccideva le sue vittime con una rapidità incredibile. Negli Stati Uniti abbondavano le storie su persone che si svegliavano malate e morivano lungo il tragitto per andare al lavoro. I sintomi erano raccapriccianti: i pazienti presentavano febbre e difficoltà a respirare. A causa della carenza di ossigeno, i loro volti assumevano un colorito bluastro. L’emorragia riempiva i polmoni di sangue, provocando vomito e sanguinamento dal naso e facendo alla fine soffocare le persone nei propri fluidi. Come già tantissime altre forme influenzali prima di lei, la Spagnola colpiva non solo le persone molto giovani e molto vecchie, ma anche adulti sani tra i 20 e i 40 anni. Il fattore principale nella diffusione del virus fu, naturalmente, il conflitto internazionale, giunto all’epoca alle sue fasi finali. Gli epidemiologi discutono ancora oggi delle sue origini esatte, ma in molti concordano nel dire che sia stato il risultato di una mutazione genetica, forse avvenuta in Cina. È chiaro, in ogni caso, che questa nuova forma influenzale si diffuse a livello globale grazie al massiccio e rapido movimento di truppe nel mondo. La drammaticità del conflitto finì inoltre per mascherare i tassi di mortalità insolitamente elevati del nuovo virus.

Un uomo e una donna, a Londra, indossano una mascherina che copre naso e bocca, disegnata per prevenire il contagio

All’inizio la malattia non veniva ben compresa e i decessi erano spesso attribuiti alla polmonite. La rigida censura del tempo di guerra impediva alla stampa europea e nordamericana di dare notizia delle epidemie. Solo nella neutrale Spagna i giornali poterono parlare liberamente di ciò che stava accadendo, e fu dalla copertura che ne diedero i media in quel Paese che la malattia prese il suo soprannome.

La seconda ondata

Le trincee e gli accampamenti sovraffollati della Prima guerra mondiale diventarono terreno fertile per la malattia. Quando le truppe si spostavano, il contagio viaggiava insieme a loro. Apparsa per la prima volta in Kansas, l’influenza calò di intensità nel giro di qualche settimana, ma si trattava di una tregua temporanea. Nel settembre 1918 l’epidemia era pronta a entrare nella sua fase più letale. È stato calcolato che le 13 settimane tra settembre e dicembre 1918 costituirono il periodo più intenso, con il maggior tributo di vite. In Italia la fase più aggressiva si verificò tra luglio e ottobre di quell’anno, quando si ammalarono anche tremila persone al giorno. Pure stavolta, fu negli affollati accampamenti militari che la seconda ondata attecchì inizialmente. Quando la crisi raggiunse il culmine, i servizi sanitari cominciarono a non farcela più. Impresari funebri e becchini erano in difficoltà e fare funerali individuali divenne impossibile. Molti dei morti finirono in fosse comuni.

Nativi americani curano pazienti contagiati da malattie europee. Theodor De Bry, 1591

La fine del 1918 portò un intervallo nella diffusione del virus, e il gennaio 1919 vide l’inizio della terza e ultima fase. Ormai la malattia era decisamente meno violenta: la ferocia dell’autunno e dell’inverno dell’anno prima non si ripeté e calò il tasso di mortalità. Ma l’ondata finale riuscì comunque a causare danni considerevoli. L’Australia, che aveva immediatamente imposto l’obbligo della quarantena, riuscì a sfuggire agli effetti più virulenti fino all’inizio del 1919, quando la malattia arrivò anche lì, causando la morte di diverse migliaia di persone. Si ebbero casi di decessi per influenza (forse una forma diversa) fino al 1920, ma nell’estate del 1919 le politiche sanitarie e la naturale mutazione genetica del virus misero fine all’epidemia. Tuttavia, per chi aveva perso persone care o riportato complicanze a lungo termine, i suoi effetti si sarebbero fatti sentire per decenni.

Un impatto durevole

La pandemia non risparmiò praticamente alcuna parte del mondo. In Italia, secondo l’Istituto centrale di statistica, solo nel 1918 morirono circa 300mila persone. In Gran Bretagna morirono 228mila persone; negli Stati Uniti circa mezzo milione; in Giappone 400mila. Le Samoa Occidentali (oggi Samoa), nel Pacifico Meridionale, persero il 23,6 per cento della popolazione. I ricercatori stimano che, nella sola India, le morti abbiano raggiunto una cifra tra i 12 e i 17 milioni. I dati sul numero dei decessi sono vaghi, ma in generale si calcola che la mortalità sia stata tra il dieci e il venti per cento dei contagiati.

Manifesto  esposto dal comune di Milano nel 1918

Si stima che un terzo della popolazione mondiale fu colpito dall’infezione durante la pandemia del 1918–1919. La malattia fu eccezionalmente severa, con una letalità maggiore del 2,5% e circa 50 milioni di decessi, alcuni ipotizzano fino a 100 milioni.

Negli anni trenta furono isolati virus influenzali dai maiali e dagli uomini che, attraverso studi sieroepidemiologici furono messi in relazione con il virus della pandemia del 1918. Si è visto che i discendenti di questo virus circolano ancora oggi nei maiali. Forse hanno continuato a circolare anche tra gli esseri umani, causando epidemie stagionali fino agli anni ’50, quando si fece strada il nuovo ceppo pandemico A/H2N2 che diede luogo all’Asiatica del 1957. I virus imparentati a quello del 1918 non diedero più segnali di sé fino al 1977, quando il virus del sottotipo H1N1 riemerse negli Stati Uniti causando un’epidemia importante. Da allora virus simili all’ A/H1N1 continuarono a circolare in modo endemico o epidemico negli uomini e nei maiali, ma senza avere la stessa patogenicità del virus del 1918.

Dal 1995, a partire da materiale autoptico conservato, furono isolati e sequenziati frammenti di RNA virale del virus della pandemia del 1918, fino ad arrivare a descrivere la completa sequenza genomica di un virus e quella parziale di altri 4. Il virus del 1918 è probabilmente l’antenato dei 4 ceppi umani e suini A/H1N1 e A/H3N2, e del virus A/H2N2 estinto.

Questi dati suggeriscono che il virus del 1918 era interamente nuovo per l’umanità e quindi, non era frutto di un processo di riassortimento a partire da ceppi già circolanti, come successe poi nel 1957 e nel 1968. Era un virus simile a quelli dell’influenza aviaria, originatosi da un ospite rimasto sconosciuto.

La curva della mortalità per età dell’influenza, che conosciamo per un arco di tempo di circa 150anni.ha sempre avuto una forma ad U, con mortalità più elevata tra i molto giovani e gli anziani. Invece la curva della mortalità del 1918 è stata a W incompleta, simile cioè alla forma ad U, ma con in più un picco di mortalità nelle età centrali tra gli adulti tra 25 e 44 anni.

I tassi di mortalità per influenza e polmonite tra 15 e 44 anni, ad esempio furono più di 20 volte maggiori di quelli degli anni precedenti e quasi metà delle morti furono tra i giovani adulti di 20–40 anni, un fenomeno unico nella storia conosciuta. Il 99% dei decessi furono a carico delle persone con meno di 65 anni, cosa che non si è più ripetuta, né nel 1957 e neppure nel 1968. I fattori demografici non sono in grado di spiegare questo andamento.

Le pandemie del 1957-58 e del 1968

1957-58: l’Asiatica (H2N2)

Dopo la pandemia del 1918, l’influenza ritornò al suo andamento abituale per tutti gli anni trenta, quaranta e cinquanta, fino al 1957, quando si sviluppò la nuova pandemia. All’epoca il virus era stato isolato nell’uomo nel 1933 e poteva essere studiato in laboratorio.
Tranne le persone con più di 70 anni, la popolazione non aveva difese contro il virus.
Nonostante non esistesse una sorveglianza epidemiologica o di laboratorio, come quelle che abbiamo oggi, il virus fu studiato nei laboratori di Melbourne, Londra e Washington, dopo il riconoscimento che un’importante epidemia era in corso. Il New York Times in un articolo descrisse l’epidemia che aveva coinvolto circa 250.000 persone in un breve periodo ad Hong Kong.
Il virus fu rapidamente riconosciuto con i test di fissazione del complemento, mentre lo studio dell’emagglutinina virale mostrò che si trattava di un virus differente da quelli fino ad allora isolati negli uomini. Ciò fu confermato anche dalla neuraminidasi. Il sottotipo del virus dell’Asiatica del 1957 fu più tardi identificato come un virus A/H2N2. Il virus aveva diversi caratteri immunochimici che differivano marcatamente dagli altri ceppi conosciuti.

Si sapeva che nell’influenza le infezioni batteriche polmonari secondarie o concomitanti erano frequenti, e ad esse erano dovuti molti dei casi fatali. A volte però la sovrapposizione batterica non poteva essere dimostrata, per cui si parlava occasionalmente di polmonite abatterica. Ma, con l’Asiatica del 1957, fu molto diffuso ed evidente il fenomeno di polmoniti primariamente virali.

In contrasto a quanto osservato nel 1918, le morti si verificarono soprattutto nelle persone affette da malattie croniche e meno colpiti furono i soggetti sani.

Il virus dell’Asiatica (H2N2) era destinato ad una breve permanenza tra gli esseri umani e scomparve dopo soli 11 anni, soppiantato dal sottotipo A/H3N2 Hong Kong.

1968: Influenza Hong Kong (H3N2)

Come nel 1957, la nuova pandemia provenne dal Sud Est Asiatico e anche questa volta fu la stampa a dare l’allarme con la notizia di una grande epidemia in Hong Kong data dal Times di Londra. Nel 1968, come nel ’57 le comunicazioni con la Cina continentale erano poco efficienti.

Poiché l’epidemia si trasmise inizialmente in Asia, ci furono importanti differenze con quella precedente: in Giappone le epidemie furono saltuarie, sparse e di limitate dimensioni fino alla fine del 1968. Il virus fu poi introdotto nella costa occidentale degli USA con elevati tassi di mortalità, contrariamente all’esperienza dell’Europa dove l’epidemia, nel 1968–1969, non si associò ad elevati tassi di mortalità. In Italia l’eccesso di mortalità attribuibile a polmonite ed influenza associato con questa pandemia fu stimato di circa 20.000 decessi.

Poiché il virus Hong Kong differiva dal suo antecedente dell’Asiatica del 1957 per l’antigene emagglutinina, ma aveva lo stesso antigene neuraminidasi, si pensò che l’impatto variabile nelle diverse regioni fosse imputabile a differenze nell’immunità acquisita nei confronti dell’antigene neuraminidasi.

Eventi quasi pandemici

1947: Pseudo pandemia (H1N1)

Alla fine del 1946, un’epidemia di influenza si diffuse in estremo oriente, in Giappone e Corea, tra le truppe americane, e successivamente, nel 1947, ad altre basi militari negli USA dove fu isolato un ceppo virale che sembrò molto differente dal virus dell’influenza A, sotto il profilo antigenico, per cui fu chiamato: “Influenza A prime”. Si ritiene che questa epidemia possa essere considerata una pandemia lieve, perché si diffuse a livello globale, ma causò relativamente pochi morti.

Si verificò il completo fallimento del vaccino nel proteggere un gran numero di militari americani vaccinati.

Il vaccino conteneva un ceppo H1N1 che era risultato efficace nelle stagioni 1943–1944 e 1944–1945. Negli anni successivi, quando furono caratterizzati sia il virus del 1943, da cui era stato derivato il vaccino, che quello del 1947 si osservò che le sequenze di RNA virale erano marcatamente diverse in quanto a composizione.

1977: Epidemia dell’Influenza Russa (H1N1)

Questa epidemia si era diffusa nel maggio 1977 nel nord est della Cina, ma fu denominata “Russa”. Essa si diffuse rapidamente ma soprattutto o quasi unicamente tra i giovani con meno di 25 anni, con manifestazioni cliniche lievi, anche se tipicamente influenzali. Si ritiene che i giovani non fossero stati esposti al virus H1N1, che non aveva più circolato più dal 1957, quando erano diventati dominanti prima ceppi H2N2 e poi H3N2. In effetti, la caratterizzazione antigenica e molecolare ha dimostrato che questo virus era

I campioni prelevati nel 1997 da Johan Hultin alla donna di Brevig Mission servirono a far meglio comprendere agli scienziati come i virus influenzali mutano e si diffondono. Grazie ai medicinali e a una migliorata igiene pubblica – oltre alla presenza di istituzioni internazionali come l’Organizzazione mondiale della sanità –, la comunità internazionale si trova oggi molto avvantaggiata di fronte alla minaccia di una nuova epidemia. Gli scienziati, comunque, sanno che una mutazione letale potrebbe avvenire in qualsiasi momento: a un secolo di distanza dalla madre di tutte le pandemie, i suoi effetti su un mondo affollato e interconnesso sarebbero devastanti

SARS-CoV( 2002 e il 2003)

La sindrome respiratoria acuta grave (Severe acute respiratory syndrome) dovuta a coronavirus è stata registrata per la prima volta in Cina a novembre 2002. Ha causato un’epidemia mondiale che tra il 2002 e il 2003 ha registrato 8098 casi probabili di cui 774 decessi. Dal 2004 non si sono registrati casi di infezione da SARS-CoV in nessuna parte del modo.

MERS-CoV (2012)
La sindrome respiratoria mediorientale (Middle East respiratory syndrome) dovuta a coronavirus è stata registrata per la prima volta in Arabia saudita nel 2012. Da allora, l’infezione ha colpito persone da oltre 25 Paesi anche se tutti i casi sono stati collegati a Paesi interni o nelle vicinanze della penisola arabica.

Attenzione: su EpiCentro sono riportate pagine relative all’epidemia mondiale registrata nel 2012 e negli anni subito successivi e fanno riferimento a una situazione di contesto diversa da quella attuale e potrebbero risultare non aggiornate.

Covid-19 – Anziani e persone fragili

Oltre 14 milioni di persone in Italia convivono con una patologia cronica e di questi 8,4 milioni sono ultra 65enni. Sono proprio loro, i pazienti doppiamente fragili per età e per patologie pregresse, che, soprattutto in SARS-CoV-2(2019) o COVID19

Il 9 gennaio 2020 l’OMS ha dichiarato che le autorità sanitarie cinesi hanno individuato un nuovo ceppo di coronavirus mai identificato prima nell’uomo, provvisoriamente chiamato 2019-nCoV e classificato in seguito ufficialmente con il nome di SARS-CoV-2. Il virus è associato a un focolaio di casi di polmonite registrati a partire dal 31 dicembre 2019 nella città di Wuhan, nella Cina centrale. L’11 febbraio 2020 , l’OMS ha annunciato che la malattia respiratoria causata dal nuovo coronavirus è stata chiamata COVID-19 (Corona Virus Disease)

VIRUS E MALATTIA

Cosa è SARS-CoV-2?  O COVID-19?

La sindrome respiratoria acuta grave Coronavirus-2 (SARS-CoV-2) è il nome dato al nuovo coronavirus del 2019. COVID-19 è il nome dato alla malattia associata al virus ( CoronaVIrusDisease-1919)oppure SARS-CoV-2 è un nuovo ceppo di coronavirus che non è stato precedentemente identificato nell’uomo.

Da dove vengono i coronavirus?

Le zoonosi sono malattie infettive che si trasmettono dagli animali vertebrati all’uomo: possono essere causate da virus, batteri, parassiti o altri tipi di patogeni. Non sempre gli animali sono direttamente fonte di infezione: spesso i microrganismi sono trasmessi all’uomo da acqua e cibi contaminati. In alcuni casi però, si può verificare il cosiddetto salto di specie («spillover») per cui un patogeno, in genere un virus, può passare direttamente dall’animale all’uomo.

Il nuovo coronavirus è lo stesso della SARS?

SARS= severe acute respiratory syndrome stessa malattia virus diverso.

Il nuovo coronavirus è paragonabile all’influenza stagionale?

Si ma più pericoloso non incontra resistenza fino ad oggi.

 

Ecco quello che è importante sapere:

Rischio contagio – Il Covid-19 nelle persone anziane tende a manifestarsi con sintomi, mentre tra i giovani sono più frequenti gli asintomatici. Su oltre 240.000 di casi confermati in Italia, l’età media è stata di 61 anni e oltre il 38% aveva più di 70 anni, secondo i Dati cumulativi della Sorveglianza integrata dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS).

Mortalità – Il numero di deceduti nei quali il COVID19 è la causa direttamente responsabile della morte varia in base all’età, raggiungendo il valore massimo del 92% nella classe 60-69 anni e il minimo (1-2%) nelle persone di età inferiore ai 50 anni.

Già dopo i 65a più della metà delle persone convive con una o più malattie croniche e questa quota aumenta con l’età fino a interessare l’85% delle persone oltre 75a… e in  questa fase di riaperture e graduale ritorno alla normalità, dovranno stare ancora più attenti di altri.

Fine parte prima,

continua….